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Tag: dca

XIV GIORNATA DEL FIOCCHETTO LILLA

Nella XIV Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla desideriamo fermarci a riflettere sul corpo come luogo di esperienza e di significato.

Uno spazio nel quale potersi (ri)connettere, in modo sicuro e graduale, con la propria esperienza corporea è il Laboratorio di DanzaMovimentoTerapia proposto nel nostro progetto CuidArte.

“La DanzaMovimentoTerapia (DMT) è una forma di terapia che utilizza il movimento e l’espressione del corpo come mezzo e strumento di integrazione e crescita emotiva, sociale e psicologica” (Art Therapy Italiana).
Attraverso esplorazioni in movimento, tecniche immaginative e di consapevolezza corporea, la DMT offre la possibilità di riconoscere ed esprimere le proprie sensazioni corporee ed il proprio mondo emozionale, accedendo a nuove risorse somatiche e ad un’esperienza di sé più integrata.
Per la DMT il corpo ed il linguaggio non verbale raccontano una storia. Il movimento diventa espressione dell’inconscio, uno spazio in cui le emozioni bloccate possono trovare forma e possibilità di trasformazione. Per chi vive un disturbo alimentare, il corpo è un campo di battaglia interiore, un oggetto da controllare e da cui dissociarsi. Nella DMT, si lavora affinché il corpo possa tornare ad essere uno spazio abitabile, riconoscibile, integrato nella propria identità.

In questa giornata, scegliamo di guardare al corpo con accoglienza, di ascoltarne la voce e di riconoscerne la storia. La guarigione non passa solo dalla parola, ma anche dal gesto, dalla danza, dal respiro condiviso.

🎗️🟣 Ogni corpo merita di essere sentito, abitato, amato.

Vi invitiamo ad ascoltare il contributo di Susan Kleinman, esperta internazionale, al link: https://www.youtube.com/watch?v=fFDiqQDHyD0

La violenza sulle donne: comprenderne i meccanismi per proporre un cambiamento

Il fenomeno della violenza contro le donne, nel corso del tempo, ha acquisito una rilevanza sempre maggiore ed è stato delineato attraverso termini differenti, che hanno tentato di coglierne i vari aspetti ed evidenziarne l’immensa complessità. Esso comprende una vasta gamma di violenze, maltrattamenti e abusi attuati dal partner che non sempre si manifestano sottoforma di danno prettamente fisico, la cui origine risiede, spesso, nelle diseguaglianze di genere e nella storica disparità di ruolo e di potere tra uomini e donne che connota la società umana da sempre. In tal senso, all’interno della Dichiarazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, emanata dalle Nazioni Unite nel 1993 (ONU, 1993), il termine “violenza di genere” viene impiegato per definire “qualunque atto di violenza sessista che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata” (Petruccelli, Simonelli & Grilli, 2014; Arcidiacono & Napoli, 2012; Marzi, Mancini, Molinari, & Palombo, 2013). Tale definizione fa riferimento alla dimensione relazionale e sessuata della violenza e ai meccanismi sociali, a causa dei quali il genere diventa il primo terreno di scontro in cui si manifesta il potere (Ulivieri, 2013).

Rispetto al tema della violenza si è osservata una certa ciclicità, che ha portato L. Walker (1979) a definire un vero e proprio ciclo della violenza, inteso in termini di “progressivo e rovinoso vortice in cui la donna viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica, e quindi ciclica, da parte del partner” (Walker, 2001). Questo processo è articolato in tre fasi, quali crescita della tensione, maltrattamento vero e proprio e luna di miele, che si susseguono con un’intensità e una frequenza sempre maggiore. Durante la prima fase il partner assume atteggiamenti ostili e scontrosi e la vittima, al fine di prevenire l’escalation, pone in secondo piano i propri bisogni dedicandosi completamente a quelli dell’altro. Nel corso della seconda, il partner agisce comportamenti violenti di diversa natura. L’ultima fase è connotata da sensi di colpa e tentativi di scusa da parte del partner accompagnati da promesse volte al cambiamento e da tentativi di porre le responsabilità al di fuori della coppia o comunque della propria persona. Con il susseguirsi di tali fasi il legame tra i due individui subisce importanti modificazioni, tramutandosi in una relazione traumatica e distruttiva, in cui le persone coinvolte occupano sempre di più posizioni rigide e asimmetriche, definite su uno squilibrio di potere. Inoltre, l’alternanza protratta di comportamenti abusanti e affettuosi, tipica di queste dinamiche, conduce all’instaurazione di una condizione relazionale patologica spesso connotata da una modalità di comunicazione ambigua e contraddittoria e da cui risulta estremamente complesso uscire se non attraverso l’ausilio di supporti esterni (familiari, istituzionali, sociali…).

Sulla base di quanto detto, è evidente l’importanza e la necessità di un cambiamento e di un lavoro che coinvolga l’intera società, in modo particolare di una forma di sensibilizzazione affettiva, relazionale e sessuale che avvenga lungo tutto l’arco della vita, che vada al di là delle definizioni stereotipate di “buono/a” e “cattivo/a”, di “vittima” e “carnefice”, che stimoli una riflessione più ampia che coinvolga tutti, che metta al centro il rispetto per sé stessi e per l’altro, fatto di confini inviolabili, e alimenti l’attenzione verso il monitoraggio e la cura della salute mentale e relazionale.

BIBLIOGRAFIA

Arcidiacono, C., Di Napoli, I. (2012). Introduzione. Violenza e asimmetria di genere. In Arcidiacono, C., Di Napoli, I. (a cura di), Sono caduta dalle scale… I luoghi e gli autori della violenza di genere. . Milano: Franco Angeli.

Marzi, G., Mancini, E., Molinari, F., Palombo, S. (2013, Aprile 17). Femminicidio e violenza di genere: dal sommerso alla presa di coscienza. Tratto da Psicoanalisi e scienza: https://www.psicoanalisi.it/osservatorio/1287/

Organizzazione delle Nazioni Unite. (1993, Dicembre 20). Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne. Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 48/104.

Petruccelli, I., Simonelli, C., Grilli, S. (2014). La violenza di genere. In Schimmenti, V., Capraro, G. (a cura di) Violenza sulle donne. Aspetti psicologici, psicopatologici e sociali. Milano: Franco Angeli.

Ulivieri, S. (2013). Femminicidio e violenza di genere. Tratto da: https://www.siped.it/wp-content/uploads/2013/12/Pagine-da-pedagogia_oggi_2-2013-26092013-9.pdf

Walker, L. (2001). The battered woman syndrome. 2nd edition. Springer Publishing Company

La storia di Eleonora

Di Eleonora Nale

La mia è la storia di una bambina perfezionista ed ansiosa, cresciuta con il terrore di non essere abbastanza, con l’ossessione di dover eccellere in tutto e con la certezza di non essere mai all’altezza delle situazioni e delle aspettative altrui. È una storia di affetto e fiducia riposti in persone che non sono state in grado di amarla come avrebbe meritato. Di sguardi aridi, cattivi, incapaci di farla mai sentire nel posto giusto al momento giusto. E quegli sguardi, negli anni, sono diventati il suo sguardo, la sua voce. Una voce crudele, insaziabile, che non conosce limiti o pietà, che non permette il minimo sgarro, che non legittima la fatica, la fame, la sete. Tutto ciò che è umano ha imparato a spegnerlo, perché inaccettabile, orrendo, impronunciabile. Sporco. Una bambina, poi ragazza e poi donna che di terreno non doveva e non poteva avere nulla, il cui sogno, forse, era quello di riuscire a liberarsi dei suoi pesi per staccarsi da terra. E così iniziavano i digiuni, l’attività fisica, le compensazioni, e si accorgeva che più perdeva peso e più le sembrava di riuscire finalmente a respirare. Nella morte progressiva del corpo aveva finalmente trovato un po’ di vita, sebbene comandata da regole e paure. Poi però una realizzazione: era rimasta sola. Le persone che amava si erano allontanate, o meglio: le aveva allontanate. Perché affetto significa compagnia e compagnia significa, spesso, cibo. E lei di cibo non voleva sentir nemmeno parlare. La solitudine: forse un prezzo un po’ alto per poter respirare. Allora la terapia, i ricoveri, i farmaci, le innumerevoli visite. Una luce aveva imparato timidamente a farsi spazio nella sua mente: la magrezza non era l’unica ricetta per poter esistere. Questa luce ha un nome: Guarigione. E quella bambina ha un nome: Eleonora.

“Mangiamo insieme” – Pasto condiviso

Il centro CPF-Fida annuncia la ripresa del progetto “Mangiamo insieme”, uno spazio in cui poter condividere il momento del pasto lontano dai rituali sintomatici e dalle dinamiche conflittuali presenti in un Disturbo del comportamento Alimentare.

Per ulteriori informazioni contattateci allo 011-7719091 oppure alla email torino@fidadisturbialimentari.com

Pasto condiviso CPF-Fida Torino

Anoressia e Bulimia “all’apparenza opposte, due facce della stessa medaglia”

La Dott.ssa Flaminia Cordeschi, presidente DAI-FIDA Roma, è stata intervistata da Enrico Scoccimarro per LUMSA news.

L’intervista è centrata sull’incremento dei casi DCA durante la pandemia Covid-19 e del ruolo che può avere la società nell’aiutare e supportare le persone che soffrono dei disturbi del comportamento alimentare.

Come evidenzia la Dott.ssa Flaminia Cordeschi “Dover rimanere a casa ha fatto emergere vissuti di incertezza e precarietà con riflessi negativi sull’alimentazione. In alcuni casi è ricomparso un pregresso disturbo del comportamento alimentare, in qualche modo compensato prima dell’arrivo del Covid-19. In altri il disturbo alimentare è iniziato quando il rallentamento del ritmo della vita ha reso possibile un maggior contatto con sé stessi vissuto come problematico e irrisolto”.

“Anoressia e bulimia sono all’apparenza opposte, ma sono due facce della stessa medaglia. In termini di posizione interna sono sempre un modo per poter continuare a non esserci”.

“Per chi soffre di DCA è necessario attivare un percorso specializzato di sostegno che riguardi anche le famiglie, basato su un aiuto psicologico, meglio se di tipo psicoanalitico, e nutrizionale, alle volte anche medico e psichiatrico. Quello che noi DAI-FIDA chiamiamo modello integrato di cura”

Leggi l’intervista integrale su questo link 

Sensibilizzazione sui DCA nelle scuole: un’esperienza al liceo Gramsci di Firenze

Dedalo come da qualche anno ha risposto alla richiesta del liceo scientifico Gramsci di Firenze organizzando una serie di incontri dinamici sui disturbi del comportamento alimentare.

In questo spazio è stato possibile trattare un tema che difficilmente in altre occasioni viene affrontato in aula, ma che in realtà è di fondamentale importanza, in particolar modo per gli adolescenti. I disturbi del comportamento alimentare sono tipicamente una patologia che si manifesta durante l’adolescenza. È in questo periodo di organizzazione della struttura di personalità che diventa più probabile che il disturbo si manifesti e che un’alterazione della condotta alimentare si radichi a tal punto da sovrapporsi all’identità del soggetto.

Ma come parlare ai ragazzi di temi così delicati?

Dedalo ha deciso di varcare la soglia dell’ordinario evitando una lezione teorica sui disturbi alimentari e proponendo alla classe un’attività interattiva con la speranza di poter lasciare “un’impronta parziale” nella terra dei teenager, un’alternativa di pensiero riguardo l’argomento DCA.

Per parlare ai ragazzi, il punto di partenza è stato proprio il mondo più frequentato da quest’ultimi: quello dei social media, dove il confine tra realtà e finzione è sempre più labile.

Riflettiamo un attimo: quante volte abbiamo sentito dire che l’insicurezza, la paura e la fragilità portano i giovani a rifugiarsi in questo universo virtuale?

È proprio per questo che Dedalo ha cercato di toccare con mano in tre giornate al liceo due mondi molto discussi, complicati e fortemente connessi fra loro: gli adolescenti e i social network. L’idea è stata quella di avviare una riflessione a partire dell’immagine del profilo che i ragazzi hanno impostato su alcuni social. Si è così originato un vero e proprio lavoro introspettivo sulle fotografie. I ragazzi sono stati invitati a riconoscere tre aspetti: cosa la foto comunicava d loro, cosa non comunicava e che titolo avrebbe potuto avere.

A questo punto chiediamoci: perché partire proprio dall’immagine per parlare dei disturbi del comportamento alimentare?

La stretta connessione dei DCA con l’importanza sociale e personale dell’immagine è uno dei punti cardine della prospettiva psicoanalitica di Dedalo.

I disturbi alimentari non hanno niente a che vedere con il cibo”

È questo che possiamo affermare in quanto l’immagine corporea, con la quale vengono identificati i disturbi del comportamento alimentare, permette di mostrare agli occhi degli altri il corpo, nascondendo quello che si cela dietro a quest’ultimo, che resta comunque sempre un potente strumento di comunicazione.

Ma cosa vuole comunicare?

La risposta è tutt’altro che banale: spesso l’obiettivo è quello di inseguire un modello per omologarsi e scomparire dagli sguardi altrui, non di certo per farsi notare. Questo punto rappresenta solo una porzione della contraddittorietà che avvolge l’intera questione dei disturbi del comportamento alimentare.

Chi conduce la sua esistenza a braccetto con un sintomo alimentare vive in un terribile paradosso: significare al di là di quello che la sua immagine rappresenta.

Anche i giovani di oggi si trovano in un enorme paradosso: nonostante si pensi che i ragazzi siano ossessionati dall’immagine, Dedalo rapportandosi in modo diretto a quest’ultimi può affermare con piacere il contrario. I ragazzi del liceo Gramsci, infatti, sono stati in grado di mettersi in discussione riflettendo su di sé con la consapevolezza che la stessa immagine comunica qualcosa di contrastante: dice molto e allo stesso tempo molto poco del nostro essere poiché tralascia spesso, informazioni come il carattere, le passioni, le emozioni e le relazioni.

Questo incontro al liceo ha rivelato prospettive inaspettate: un’occasione per mettersi in gioco, da entrambe le parti, e per conoscersi meglio. Dedalo, infatti, dal canto suo ha analizzato con i ragazzi il suo logo: il labirinto.

E come si esce dal labirinto dei disturbi alimentari?

La via d’uscita dal labirinto non è la stessa per tutti quanti e la psicoanalisi si pone come un percorso che è possibile solo ricostruire passo passo.

Un elemento accumuna l’immagine di Dedalo, degli adolescenti e di un soggetto affetto da un disturbo alimentare: comunicare qualcosa di illusorio. L’immagine di una persona che si abbuffa o non mangia, infatti, sostituisce qualcosa di più caro al proprio sé, come la propria storia personale, le relazioni o un evento vissuto. Ricordiamo quindi che il cibo sta al posto di qualcos’altro.

Questa esperienza ha permesso di osservare questi temi dal punto di vista di giovani in grado di dibattere animatamente questioni molto significative e sensibili. Partendo dal cibo i ragazzi sono arrivati a toccare temi d’attualità, passando anche per il legame esistente fra i disturbi alimentari e le dipendenze.

Gli adolescenti del liceo Gramsci sono stati un’importante rivelazione e si sono dimostrati capaci di apprezzare e condividere ciò che anima il lavoro dello psicologo: provare sempre a trovare anche un solo bagliore che illumini quella via tortuosa, oscurata e impercettibile per uscire dal quel labirinto con cui Dedalo ha scelto di raffigurarsi. È percorrendo, quindi, il percorso dell’individualità che si può arrivare alla guarigione.

Dott.ssa Maila Cuomo